Presentazione del progetto Green Grass Dairy
Il prof. Giulio Cozzi (Università degli Studi di Padova) presenta il progetto "Green Grass Dairy", realizzato in collaborazione con il Caseificio Pennar, la Spettabile Reggenza dei 7 Comuni e Vireo.
Quando parliamo di montagna, e quando parliamo di zootecnia di montagna, inevitabilmente dobbiamo pensare a quelli che sono i prodotti alimentari che la montagna può dare agli animali: i foraggi; in montagna la zootecnia ha sempre avuto un intimo rapporto con l'suo del territorio attraverso la foraggicoltura e il pascolo.
Questo tipo di rapporto, negli ultimi 20-30 anni, è andato allentandosi, perché in montagna abbiamo visto nascere forme di zootecnia sempre più intensive, in cui sostanzialmente gli animali erano sempre più produttivi e iniziavano ad utilizzare alimenti che aveano origine ben lontano dalla zona in cui gli animali venivano allevati.
Le ragioni di questo cambiamento sono molto semplici: sono ragioni economiche. Negli ultimi venti anni il prezzo del latte è andato aumentando e questo ovviamente ha stimolato sia in montagna che in pianura a produrre di più.
Questo sostanzialmente, che cosa ha fatto? Ha allontanato la zootecnia di montagna dall'uso del territorio come produttore di foraggi, perché gli animali utilizzavano altro, qualcosa che arrivava dalla pianura, arrivavamo a situazioni in cui anche l'80, il 90 percento degli alimenti che finivano in mangiatoia di aziende zootecniche alpine venivano acquistati nella pianura: si comincia ad abbandonare, l'utilizzo di prati e pascoli.
Perché? Perché non serve, perché non mi servono più, in quanto allevatore.
Questo ovviamente ha una ripercussione innanzitutto su quella che è la vocazione paesaggistica della montagna, tutta la montagna alpina da est ad ovest.
La montagna ha un'unica chance, quella del turismo, per sopravvivere, ma ovviamente nel momento in cui questi scenari, questi paesaggi via via vedono l'abbandono dell'utilizzo delle superfici foraggere, la montagna viene a perdere una delle tre componenti che fanno dell'ambiente alpino qualcosa di assolutamente esclusivo (e vorrei dire, formidabile).
Tutto questo, ovviamente ha una ricaduta ambientale paesaggistico turistica ma, d'altra parte, anche una ricaduta sulla qualità del formaggio: nel momento in cui il formaggio ed il latte prodotto in montagna diventa sostanzialmente sempre più vicino dal punto di vista organolettico, dal punto di vista chimico, bromatologico, a quello del latte della pianura, anche il formaggio non può "fare il miracolo" solo perché legato all'ambiente in cui noi andiamo a mungere le nostre bovine.
Da qui nasce l'idea del progetto Green Grass Dairy. In cosa consiste questo progetto? Qual'è l'innovazione?
Creare una nuova filiera latterio casearia, attraverso un caseifico della montagna, il Caseificio Pennar, basata sull'utilizzo di latte prodotto da erba, da bovine che utilizzano pascoli e prati, certificati, per la tutela della biodiversità.
La grande innovazione è "giocare su due tavoli": da una parte tutelare la biodiversità vegetale che oggi è molto a rischio quando parliamo di superfici a prato-pascolo, e dall'altra parte valorizzare il latte che deriva da queste superfici, attraverso un'innovativa filiera lattiero-casearia che ha i caratteri dell'esclusività, che vuol differenziarsi, rispetto a quello che viene prodotto dallo stesso caseificio.
I soggetti coinvolti sono quattro: i due soggetti principali sono il Caseificio Pennar e il Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università di Padova, il mio gruppo di lavoro, che si occupa di ricerca e sperimentazione nell'ambito della filiera latterio-casearia, poi vi sono la Comunità Montana, che è qui oggi rappresentata dal settore Agricoltura, proprio per quanto riguarda il know-how sull'aspetto della gestione delle superfici verdi dell'altopiano, e un gruppo di giovani esperti di certificazione ambientale, dell'azienda Vireo, che si occupano di sviluppare certificazioni ambientali nell'ambito dell'agricoltura e delle foreste.
La struttura del progetto è basata su tre azioni: la prima prende in considerazioni le superfici a prato-pascolo e ha come obiettivo quello di tutelare e biocertificare la diversità della componente foraggera.
Cosa puntiamo a fare? Puntiamo a creare, e questo è un aspetto decisamente innovativo, una certificazione sviluppata secondo le linee guida, le norme ISO, che ci permettano di definire la biodiversità in un pascolo e definire anche le linee guida per la gestione di queste superfici che garantiscono la tutela e il mantenimento di questa biodiversità.
In questo caso gli attori coinvolti sono innanzitutto la Comunità Montana, i certificatori e tutti quelli che saranno i soci del caseificio che offriranno le superfici verdi utilizzate dagli animali.
Il secondo punto è: la creazione di una nuova filiera latterio casearia. Essa avrà un proprio nome: abbiamo pensato, per il momento di chiamarla "Linea Erba e Pascolo Alpino", ma credo che poi avrà un nome legato proprio ad Asiago, che deriverà probabilmente dalla lingua cimbra.
Le caratteristiche di questa filiera saranno innanzitutto: definire un paniere di prodotti: sarà naturalmente il Caseificio che con le sue strategie commerciali che deciderà se puntare innazitutto sul latte, sui formaggi molli, sui formaggi a media e lunga stagionatura; questa sarà una scelta, ma quello che sarà molto importante è differenziare questi prodotti, identificarli in maniera chiara, innanzitutto da un punto di vista commerciale, e quindi delle pelure che siano dedicate.
Io vorrei addirittura arrivare a millesimare le forme, proprio per dare al consumatore l'idea che quello che acquista è un qualcosa che è legato a un periodo ben definito (che è una stagione, la stagione del pascolo) e ad un numero ben definito di animali, quindi non è qualcosa che può essere replicato secondo dinamiche tipiche della grande distribuzione (i "grandi numeri").
Primo punto: identificazione dei prodotti, messa a punto del protocollo caseario per la loro produzione; test per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche qualitative, analisi chimiche per poter identificare le caratteristiche nutraceutiche, che rappresenteranno sicuramente la "marcia in più" di questi formaggi: sappiamo che il latte prodotto dagli animali che pascolano ha una serie di caratteristiche nutraceutiche legate per esempi ai coniugati dell'acido linoleico, agli antiossidanti -di origine naturale- che un prodotto ottenuto da una zootecnia intensiva non può avere.
Questo, per fortuna, madre natura lo ha messo solo negli animali, negli erbivori che pascolano. Questo sarà la marcia in più che noi ricercatori andremo ad evidenziare, e che servirà al marketing per poter proporre e promuovere questi prodotti al consumatore.
La terza azione è quella che riguarda più da vicino il mio gruppo di lavoro, e sarà quella di analizzare, valorizzare, tracciare questi prodotti. Cosa significa? Significa conoscere i prodotti, qualificarli per quelle che sono le caratteristiche nutraceutiche che li caratterizzeranno e soprattutto distinguerli, aiutarci a distinguerli da quelli che potrebbero essere i prodotti della concorrenza, non basata sull'utilizzo di foraggi verdi.
Cosa utilizzaremo per tutto questo? Utilizzeremo una serie di strumentazioni che ci permettono analisi rapide, ripetibili, a costi molto contenuti. La tecnologia è quella della spettrometria del vicino infrarosso (si chiama NIRS, near infrared spectroscopy) ed è già stata applicata da una serie di ricerche che noi abbiamo fatto sul formaggio di Asiago per discriminare filiere di produzione dello stesso formaggio. E' una tecnologia decisamente innovativa, molto presente nell'agroindustria (è già applicata per analisi che vanno dai sughi di pomodoro ai succhi ecc...), per le quali noi creeremo delle specifiche calibrazioni, proprio per qualificare questi formaggi, comparandoli con i competitors che avranno origini diverse, con l'obiettivo da una parte di qualificare, ma soprattutto di tracciare: un domani di permettere al consumatore di dire "Questo è un prodotto che decisamente è legato ad una certa gestione di un ambiente e di un territorio".
Il tutto, quindi, sostanzialmente, si fonderà su uno strumento che, "leggendo" un pezzo di formaggio o del latte, ci permetterà attraverso uno spettro e una banca dati di identificare e di tracciare la filiera di produzione e l'origine di questo formaggio.
Tutto questo poi diventerà strumento di marketing e commercializzazione per il caseificio, il quale andrà a qualificare i prodotti di questa nuova filiera, attraverso due tipologie di informazioni: una legata al prodotto: le sue proprietà nutraceutiche (dicendo: "quello che stai acquistando è un qualcosa che ha delle caratteristiche dal punto di vista organolettiche ma soprattutto nutrizionali, che lo qualificano, rispetto a quello che potrebbe essere un normale formaggio, anche alpino"), ma parallelamente il messaggio che cercheremo di trasmettere è che attraverso questo prodotto, all'interno di questo prodotto c'è anche un'azione di tutela della biodiversità: un messaggio che lega decisamente un prodotto ad una certa zootecnia, ad una certa forma di zootecnia alpina, che diventa strumento di salvaguardia e non strumento di degrado ambientale.
Questa è, secondo me, la cosa fondamentale: riportare la zootecnia alpina ad essere attore positivo nella gestione dell'ambiente alpino.
Questo è il progetto, questa è l'idea; noi partiamo quest'anno; l'anno prossimo speriamo di incontrarvi per farvi vedere i prototipi di quello che saranno i prodotti che verranno commercializzati fra due estati, qui ad Asiago.
Speriamo davvero di fare una azione che abbia, chiaramente, una ricaduta interessante, per quella che è la strategia commerciale di Pennar, ma soprattutto aiuti l'intero comprensorio di Asiago a rilanciare un'importante vocazione turistica strettamente legata alla zootecnia, perché non dimentichiamoci che in queste montagne ci sono qualcosa come 5000 capi che stanno mangiando erba dai pascoli alpini.
Io vi ringrazio per l'attenzione.